La biblioteca nazionale di Bosnia-Erzegovina simbolo di Sarajevo
Costeggiando la bellissima Accademia delle Belle Arti, lungo il corso del fiume Miljacka, si arriva ad uno dei simboli della città: la biblioteca nazionale di Bosnia-Erzegovina. All’entrata, un’incisione nel marmo, recita: “In questo luogo i criminali serbi nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 diedero alle fiamme più di due milioni di libri, giornali e documenti. Per non dimenticare”. L’edificio della Vijednica subì l’attacco da parte dell’esercito serbo con bombe incendiarie e cannonate per tre interi giorni, mentre decine di vigili del fuoco, bibliotecari e volontari cercavano di mettere in salvo i libri dalle fiamme. Tra il 1997 e il 2004 la Vijednica è stata ricostruita ed oggi è possibile ammirare le sue meravigliose sale, il tetto di vetro e le colonne di pietra.
Di pomeriggio nella Baščaršija non posso non assaggiare l’ottimo tè turco servito con la baklava, dolce di origine ottomana fatto di pasta filo, nocciole e agda, uno sciroppo particolarmente dolce. Da qui si godono i ritmi lenti della città e dei suoi abitanti che passeggiano lungo le strade affollate. Ultima tappa del giorno è il mercato coperto di Markale, dove si trova davvero di tutto: dai classici souvenir alle composizioni degli artisti locali, dai tessuti alle spezie orientali.
A cena mangio i tradizionali devapčidi, un piatto a base di carne trita di manzo, condita con sale, spezie e aromi, serviti all’interno del pane somun con cipolla bianca ed ajvar, una salsa piccante preparata con peperoni rossi macinati e spezie.
Una città giovane e vivace
Sarajevo di sera è ancora più affascinante e vivace che di giorno: i locali sono pieni e dappertutto si fuma il narghilè e si beve il Bosanka Kafa, il buonissimo caffè bosniaco servito nelle particolari tazzine di origine turca (fidzani). Proprio il caffè è la bevanda nazionale in Bosnia: Sarajevo è stata la prima città in Europa (dopo Istanbul), ad avere dei locali in cui consumare e comprare caffè (già nel 1571, cento anni prima di Londra o Parigi). L’atmosfera è rilassata e tranquilla: la gente chiacchiera, ride, passeggia. Il fiume Miljacka scorre placidamente attraverso la città, rendendo i giorni bui dell’assedio e della guerra solo un lontano ma doloroso ricordo.
La mattinata successiva la passo visitando la Casa Svrzo, una classica abitazione ottomana del secolo XVIII, che rappresenta l’ultimo esempio di architettura tradizionale bosniaca perfettamente conservata (la sala da pranzo, il dormitorio, la stanza per accogliere gli ospiti illustri, ecc.). Successivamente, visito il museo storico di Sarajevo che ripercorre la storia millenaria della città, dal neolitico fino alla prima guerra mondiale. Ma la visita che più mi colpisce è quella alla Galleria 11/07/1995, una mostra fotografica ed audiovisiva sul massacro di Srebrenica e sull’assedio di Sarajevo. Le emozionanti foto di Ron Haviv e Tarik Samarah raccontano bene quei lunghi giorni di terrore e disperazione, lasciando il visitatore particolarmente toccato dalla crudezza delle immagini e dalle testimonianze dei sopravvissuti.
Il tunnel della speranza
Altra esperienza da fare è quella del “tunnel della speranza”, che si trova appena fuori Sarajevo. Durante l’assedio, attraverso questo tunnel, i bosniaci riuscirono a far arrivare cibo, medicinali e armi alla popolazione, superando l’area dell’aeroporto occupata dalle milizie serbe: una soluzione di emergenza per evitare che Sarajevo fosse davvero isolata dal mondo.
A cena, mentre le luci dei bazar e dei negozi si illuminano ai piedi della moschea della Baščaršija, spendendo pochi marchi, mangio la Bosanski Lonac, una zuppa di spezzatino di carne, patate, cipolle, carote, pepe e sale.
Successivamente, camminando lungo la Ferhadija, mi soffermo su una scritta incisa sul pavimento: “Sarajevo meeting of cultures”. Ed è davvero così. È questo l’aspetto più emozionante e anche più tragico di una città della quale ci si sente subito parte e di cui ci si innamora facilmente, anche solo fermandosi a guardare gli anziani che giocano a scacchi con le grandi pedine posizionate nella piazza della cattedrale ortodossa, ad ascoltare i muezzin richiamare i fedeli alla preghiera dai minareti, ad osservare i gesti lenti dei suoi abitanti. Sarajevo è una città che ti assorbe completamente con i suoi profumi, i suoi colori (a volte anche tetri e grigi), la sua gente, la sua storia, la sua diversità. Città unica, tormentata, affascinante, misteriosa, sofferente. Città dagli abitanti generosi, che cercano faticosamente, ma con determinazione, di recuperare quell’armonia tra le diversità che li ha contraddistinti per secoli. Il leitmotiv di un viaggio nella capitale bosniaca è sicuramente “Sarajevo, mon amour!”, parafrasando il titolo di un famoso libro di Jovan Divjak. E se lo dice un Serbo …
Informazioni utili
Come arrivare
: in autobus con collegamenti diretti da Dubrovnik, Zagabria e Lubiana (il prezzo medio è di 30€).
Cambio valuta: nel centro cittadino è possibile cambiare euro con marchi bosniaci (1€ = 2BAM).
Dove dormire: “Accommodation Magaza” in Tahčidasokak, 7. Si trova a pochi passi dal centro della città. E’ pulito, economico (circa 25€ a notte) e i proprietari sono molto ospitali.
Dove mangiare: in uno dei tanti bazar della Baščaršija è possibile assaggiare i piatti della tradizione bosniaca (Sarajevski Sahan, Somun, Serajevska Pivara, Baklava, Cevapčidi, Pita, Bosanski Lonac).
Film: “No man’s land” di Danis Tanovid; “Welcome to Sarajevo” di Micheal Winterbottom.
Libri: “Sarajevo, mon amour” di Jovan Divjak; “Sarajevo Marlboro” di Miljenko Jergovid.
Musei: Museo della città di Sarajevo (Zelenih beretki 1); Casa Svrzo (Glođina 8); Galleria 11/07/1995 (Trg fra Grge Martica 2); Tunnel della speranza (Tuneli 1 Ilidža – Donji Kotorac).