Resoconto di una gita a Venezia, motivata dalla mostra sui 500 anni del Ghetto, ammirabile a Palazzo Ducale, e, subito dopo, da una rifrequentazione dei Bacari alias le osterie venexiane, magnifiche istituzioni dispensanti le divine “ombre” (e per mangiucchiare, costo a parte, i “cichèti”, in quel rito dell’aperitivo, il bicchiere di vino preprandiale, che quei furboni dei bar milanesi hanno trasformato in penosa Happy Hour con gli avanzi della cucina del ristorante vicino).
Ulteriore appeal della gita, le elaborazioni gastronomiche del Giulio tra i cui meriti può annoverare quello di ospitare il qui scrivente nelle sue trasferte in laguna (e ‘ce credo’, ormai se vuoi dormire una notte in un hotel veneziano devi prima andare in banca a fare un mutuo, vedi, avanti, quanto costa a un turista, non indigeno, un ticket del vaporetto…). Eccomi pertanto in grado di procedere a qualche veloce ancorché goffa informazione comprendente una visita, al mercato del pesce, veloci commenti sulla “Ribollita” del Giulio, una visita a due mostre/musei e infine (molto importante per chi ama i viaggi) la descrizione della “gita/escursione”, leggasi un’esperienza turistica, a mio parere “tra le più belle e meno costosa del mondo”.
Al mercato del pesce
Ma veniamo al dettaglio. Al mercato del pesce agli Alberoni (Lido), beninteso previa ovvia sosta a Malamocco per un ‘ombra’, oltre a polipetti/folpèti, il Giulio acquista un bel pezzo di tonno ‘pinna gialla’ (per la mia curiosità: sto infatti meditando una gita sullo Stretto di Gibilterra per saperne di più sul ‘pinna rossa’…). Il tempo di arrivare a casa e il mio ospite procede all’ebollizione del citato pesce, dopodiché lo depone in vitreo barattolo indi lo sommerge nell’olio (ça va sans dire quello ‘toscanamente bono’). Dopodiché, trascorsa qualche ora e proceduto a un assaggio (ma che buono), ecco domandarmi: ma perché le mie amiche milanesi invece di comprare al supermarket le solite lattine (che, a stare a sentire la Gabanelli conterrebbero schifezze, per di più nocive) non imitano il Giulio?
Ribollita che delizia
Quanto alla Ribollita è proprio una vera delizia. Perché, contrariamente alle paturnie (e al suo status di Accademico cuciniere) del nostro amìs Nicola, che la “rivisita” (verbo secondo me goffo, usato solo perché fa fino, eppoi perché cambiare ciò che da sempre va ininterrottamente bene?) senza prevedervi quello che la Mistica fascista definì “Gioia del Focolare”, il Giulio continua ad ammannire la Ribollita decorata in superficie da pane rigorosamente toscano. Ma come dicevasi antan, “non si vive di solo pane (che poi, cotto con un bel cavolo nero, chiamasi, appunto, Ribollita) eppertanto eccomi aggiungere l’appagamento della fame culturale secondo il ricco menu che Venezia ti riserva per tutto l’anno (e per lo scrivente tocca il giulebbe in occasione delle feste della Sensa e del Redentor).
I 500 anni del Ghetto alla Galleria di Palazzo Cini
Eccomi quindi, dopo la Mostra del Ghetto a Palazzo Ducale, alla Galleria del Palazzo Cini, in Dorsoduro: dall’8 aprile (al 15 novembre) informa la cartella/stampa, “Capolavori ritrovati della collezione” (del citato, grande uomo di business e cultura veneziano ancorché nato a Ferrara) e vai con Crivelli, Tiziano, Lotto Canaletto, Guardi, Tiepolo … basta o no? E nel secondo caso nei due piani del nobile Palazzo, oltre ai dipinti, si ammirano altre chicche dell’arte e dell’artigianato (maioliche, arredamento, financo una portantina del ‘700) che hanno reso gloriosa la Repubblica di Venezia (a modesto modo di vedere del qui scrivente, ma resti tra noi, il più grande momento storico nello Stivale, unitamente alle precedenti vicende del Caput Mundi, dopodiché, finita Venezia per cola di quel baloss del Napoleone … lasciamo perdere…).
Lascio Palazzo Cini e procedo verso la Basilica di Santa Maria della Salute, a fotografare quelle ampie volute a spirale, volute (1631) da Baldassarre Longhena per la decorazione esterna della basilica, il cui disegno, impostomi dalla professoressa Biglia in 3a liceo Scientifico, fu da me condito da abbondanti maledizioni.
Eccomi pertanto alla Punta della Dogana, a conoscere il recente spazio museale laddove un tempo si faceva pagare i diritti alle navi in arrivo a Venezia, e lì ammiro la mostra “Accrochage“, ma si tratta di arte moderna, e non me ne voglia il cortese lettore se confesso di non saperci capire una beata fava (commento solo, che trattasi di “Una selezione inedita di oltre 80 opere di arte contemporanea della Pinault Collection”, e mi fermo lì…).
Da piazza Roma al Lido di Venezia un godimento visivo unico
“Dulcis in fundo” (viepiù entusiasmante del “Last but not Least”) la “Highlight”, per i british il momento magico, della gita a Venezia la cui narrazione sta volgendo al termine, un’esperienza (da me già plurivissuta, penso di essere alla 50ma edizione) turistica, a mio modesto avviso la più bella, ma anche meno cara nel mondo: la “gita” sul vaporetto numero 1 da piazza Roma (o Ferrovia che sia) al Lido. Al turista mordi e fuggi (che prevede una soltanto una veloce ‘escapada‘ a Venezia il passaggio/biglietto (singolo) costa 7 euro e 50 (madonna ma quanto sono cari in Laguna); chi invece prevede nella Serenissima una sosta più lunga e/o pensa/spera di tornarvi farà bene a provvedersi della “Carta Venezia è Unica” (costo 50 euro, vale 5 anni, il cortese lettore faccia subito due conti) e in tal caso il ticket per godere il giulebbe turistico che vado a spiegare costa soltanto 1 euro e 50 cents.
Ecco dunque uno tra i più bei (e abbastanza duraturo, più di un’ora) Godimenti Visivi del mondo … da piazza Roma, sei già nel Canal Grande, gli occhi cominciano a deporsi su un’infinità di palazzi (dicono gli sprovveduti giovani cronisti turistici) “mozzafiato”, eppoi ponti, campielli, gondole ecc. dopodiché, giunto alla “Salute“, guardi a destra e ammiri San Giorgio, a sinistra ti godi quel ben di dio di San Marco … dopodiché entri nell’ampio bacino, a sinistra l’Arsenale e Sant’Elena, a destra isole di assoluto valore storico e religioso…. infine, mèta finale, il Lido … sulla cui punta settentrionale svetta il campanile di san Nicolò, laddove si può ammirare la campana che, nell’ottobre 1571, –anticipatrice dei futuri tiggì della tivù- annunciò a Venezia la gloriosa –e decisiva, sennò “li Turchi” sarebbero arrivati fino in piazza San Pietro…- vittoria della Serenissima a Lepanto …. e mi riferisco a un evento storico tanto importante da aver dato nome a uno dei più noti e raffinati brandy spagnoli, il (me racumandi l’accento al posto giusto) Lepànto …
Che bellezza, ‘sta gita che godo nel segnalarla alla ancorché poca aficiòn lettrice! Oltretutto ti godi tutto ‘sto ben di dio, vivi un’eccellente esperienza culturale spendendo lo stesso importo che a Milano ti chiedono per portarti, sottoterra, dalla Crocetta in via Forze Armate… Buon viaggio!