Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

La mia prima volta in Asia fu all’inizio degli anni Ottanta. Sbarcai a Bangkok, che fu il mio battesimo d’Oriente. Da allora ho percorso strade e sentieri di questo continente, fra le vette del Bhutan, i templi di Bali, i campi di sterminio della Cambogia, ho incontrato ex cannibali in Irian Jaya, tagliatori di teste in Borneo, e poi Vietnam, Laos, India, le spiagge delle Maldive, le sale da gioco di Macao. Trent’anni di viaggi in Asia sono le pagine di questo libro (LT Editore)

Introduzione

La mia AsiaLa mia prima volta in Asia

fu all’inizio degli anni ’80. Il viaggio fra i continenti mi regalò una notte insonne, per i sedili scomodi – già allora accarezzavo i 100 chili – e l’emozione. Ricordo l’alba in aereo, quella striscia di luce che piano piano sbocciava nei finestrini di sinistra. E dopo un po’, quando il 747 stava scendendo, vidi per la prima volta i tetti dorati delle pagode, brillanti ciuffi gialli nel verde di una foresta che abbracciava affettuosa la città. Stavo atterrando a Bangkok. Quel nome era un sogno coltivato da tempo, era l’annuncio di un’avventura esotica, era lo sbarco in un altrove misterioso ed eccitante.

Fu la Thailandia il mio battesimo d’Oriente. Tutto era molto diverso da oggi, meno traffico, meno caos, meno inquinamento. Ma gli stessi sorrisi e l’identica gentilezza. Fu proprio la dolcezza di questa gente a colpirmi, a farmi sentire subito a mio agio anche se mi trovavo dall’altra parte del mondo, in una cultura completamente diversa dalla nostra. L’Asia è complessa e anche se ha caratteristiche che accomunano paesi differenti, ne ha molte altre che li rendono profondamente diversi. Viaggiare da queste parti può essere molto facile o terribilmente difficile. Perché ci sono realtà avvolgenti e protettive – come è ancora la Thailandia – e altre che sono durissime da sopportare: pensiamo alla Cambogia, ma anche alle crude quotidianità dell’India e della Cina.

L’Asia è un altrove straordinario, dove un viaggiatore curioso trova tutto quello che desidera scoprire, dentro e fuori di sé. Perché ha culture antiche e fortemente identitarie, etnie che resistono con fierezza e dignità all’assalto della globalizzazione, panorami naturali e umani entusiasmanti, tradizioni gastronomiche che possono far saltare di gioia le papille gustative o far disperare chi inorridisce a vedere animali di casa finire in pentola o insetti mummificati in una frittura.

Questa è l’Asia, un continente che è insieme primo e terzo mondo, modernità e speranza di sviluppo, pietas e crudeltà, Buddismo e Islam, Cristo e pirati, oppio e massaggi in spiaggia. Ho molti ricordi che queste terre hanno lasciato dentro di me, incontri con personaggi che non abbandoneranno più il mio cuore, luoghi che hanno trattenuto il mio corpo ma insegnato alla mia mente a volare libera, alcune disavventure, un po’ di pericoli e paure, molta gioia e qualche rimpianto. Trent’anni di viaggi in Asia sono le pagine di questo libro, un atlante di emozioni costruito con alcuni dei giorni più belli della mia vita.

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La mia Asia Le risaie di Bali. Capolavoro dell'ingegno umano e della natura
Le risaie di Bali. Capolavoro dell’ingegno umano e della natura

Sono ricami sulla montagna, sono un serpente infinito di merlature verdi, chiare scure, sfumate, brillanti, che si piegano al vento e cambiano colore e poi mutano ancora tinta, quando l’aria torna calma, sono gradinate di uno sterminato teatro greco dove si recita ogni giorno la tragedia felice della fatica: cappello triangolare in testa, i contadini passano le ore piegati fino a terra per curare i loro piccoli tesori, quelle minuscole piantine che maturano tre volte l’anno, evento unico nel mondo del riso che normalmente concede soltanto due raccolti ogni dodici mesi e invece qui, grazie ai benefici degli dèi, ne regala uno in più.

Foto di Deborah Bates
Foto di Deborah Bates

Sono venuti perfino dal Giappone per studiare lo straordinario sistema di irrigazione che consente di far arrivare l’acqua anche nei campi più alti e lontani: ma le loro menti computerizzate si sono dovute arrendere di fronte a una organizzazione collettivistica delle risaie che distribuisce il cibo secondo le necessità e affida la gestione dell’acqua al titolare del campo più lontano, il più interessato al perfetto funzionamento dei canali. Si vede nel mondo che vive ancora tranquillo intorno a Ubud, tra Bedulu e Peliatan, nello splendore incantato di questa campagna, nelle voci dei monaci che affidano all’eco delle valli la cantilena delle loro nenie, nel fascino sorprendente della grotta sacra agli elefanti, dove davanti a un ritratto di Ganesh, il dio con la testa di pachiderma, ci si ritira ancora in meditazione.

Perché Bali resta isola votata ai piaceri dell’anima, in un luogo che invita a soddisfare anche i piaceri del corpo. Chi cerca la pace inferiore sale fino alle montagne e ai laghi, al Batur che è piccolo specchio d’acqua dove si riflette un grande vulcano, accessibile alla sfida anche dei più pigri camminatori che in un paio d’ore possono arrivare in cima. E una volta attraversate le nuvole che avvolgono la vetta, una volta ringraziati gli dèi dell’assistenza prestata fino ai 1700 metri della sommità, si può ammirare dall’altitudine un nuovo volto del mattino del mondo. La costa nord di Bali è poco oltre l’orizzonte sterminato della foresta, oltre gli ordini di tetti che sovrastano i templi per santificare Shiva e Visnù.

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Foto di DEZALB da Pixaba
Foto di DEZALB da Pixaba

È lì che torna l’oceano, il mare che per anni è stato il richiamo più forte di chi attraversava i continenti per arrivare all’isola degli dèi e dei diecimila templi, enclave indù in un mondo benedetto da Allah. Ma la vera Bali, quella che regala le emozioni più intense, è nei luoghi che hanno fascino e bellezza per non lasciarsi imprigionare dalle mode fugaci: Ubud e dintorni, le montagne e i templi abbracciati dalla foresta. È qui che ciascuno trova il suo Dio, se lo vuole incontrare: perché come scriveva Sheik Nurudin, profeta indiano della non violenza, «Dio è dovunque e non ha nomi, non c’è foglia d’erba che non lo conosca».

Il mattino del Mondo

La mia Asia
“La mia Asia. Trent’anni di viaggi in Oriente” di Corrado Ruggeri, LT Editore. Prezzo di copertina 16,00 euro. Pag. 350

Il mattino del mondo è un’isola incantata. È una poesia di profumi e colori che commosse il pandhit Nehru: da primo ministro della vicina India passeggiò tra le risaie, si affacciò sui templi che sfidano l’oceano, Ulu Watu e Tanh Lot, si lasciò assalire dalle pacifiche scimmie che popolano boschi e grotte.

E poi parlò. «Bali – disse – è il mattino del mondo». Era il 1954. Oggi l’alba del mattino del mondo è fin troppo affollata, i tempi moderni hanno travolto pace e quiete e anche quest’isola in alcuni tratti è soffocata dalla folla che scappa da altre latitudini e viene a cercare qui quello che altrove non ha trovato: semplicità, libertà, serenità. Kuta beach, che era un ricamo di spiaggia bianca, ormai è una piccola California di cercatori d’onde, appassionati surfisti che a mezzogiorno cavalcano le correnti e di notte inseguono altre forze della natura.

E per ino Candi Dasa, che nacque proprio come alternativa tranquilla ai bagliori di Kuta, è diventata preda di legioni di vacanzieri, come tutta la costa est, quella che guarda Lombok. La Bali che incanta è altrove. È lontana dai sentieri del turismo più organizzato, dalle cattedrali del tutto compreso, ma è straordinariamente vicina allo spirito dell’isola, a un panteismo allegro e compiacente, che santifica ogni istante della giornata con un’offerta destinata agli dei, affinché qualunque gesto sia benedetto da chi governa i destini del mondo. Qualche fiore fresco ingentilisce il cruscotto delle auto che viaggiano per la Bali avvelenata dal traffico, oltre che dalla scarsa propensione degli isolani a tenere” volante in mano. Così l’amministrazione ha deciso di far presidiare gli incroci più ancora che dai vigili da piccoli templi votivi, ai quali viene attribuita una benefica influenza sul controllo della circolazione.

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La mia AsiaMa è bella Bali, poetica e dolce, come un bambino che appare indifeso nella sua ingenuità. Il rispetto che invoca non è mai un obbligo, ma è affidato alla responsabilità di ognuno. Come succede nei piccoli santuari di montagna, che sono fra le meraviglie dell’isola. C’è un grande cartello, con cui si chiede di non entrare alle donne incinte o indisposte, a quelle con figli che non hanno ancora messo il primo dente, alle persone in lutto, ai pazzi: nessuno controlla queste che sono considerate impurità, capaci di offendere il tempio. Ma tutti i balinesi le rispettano. Al contrario dei turisti. Quassù non ne vengono molti, ed è un bene.

Perché in queste zone, nel cuore dell’isola, alle pendici del monte Batukau e delle altre vette, c’è ancora la Bali com’era quella di Nehru, quella del mattino del mondo. Le risaie si coltivano come allora, quando nei villaggi non c’erano le antenne paraboliche e la sera si andava a dormire alle otto; ora si fa più tardi, perché c’è la televisione. Ma alle sei della mattina gli agricoltori balinesi si arrampicano sulle coltivazioni a terrazza, ceselli di un’arte che consente la sopravvivenza e che forse regala più gioia agli occhi che denaro ai contadini.

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