Torno a Lima, per ri-visitarla, al termine di una bella gita in Perù composta da due trasferte intelligenti (peggio l’impudenza o la falsa modestia?). La prima, nel nord, 5 giorni di cui 2 notti in bus a/da Chiclayo e 3 giorni di piacevole soggiorno alla fiera del turismo di Trujillo. Ho trovato belle le recenti scoperte archeologiche delle precolombiane e preincaiche culture Chimù e Mochi: ori e artigianato o arte?.
Una trasvolata a/r sulle Ande mi ha invece dato modo di godere caldo-umide vicende tropicali nella Amazonìa peruviana. Lardellate da gite in barca sul più famoso Rio del mondo e da un soggiorno nella fitzcarraldiana Iquitos. Un posto davvero intrigante. Per certo lo fu fin quando, inizio ‘900, Henry Whitman, contrabbandiere inglese, alla dogana Amazzoni-Atlantico non fece passare sotto il naso dei finanzieri brasileiros 70.000 semi del gommoso albero del caucciù.
Urbanistica coloniale
Le capitali sudamericane dell’ex impero spagnolo (sì, quello su cui il sole mai tramontava) sono quasi tutte abbastanza simili. I Conquistadores le fondavano, pare ovvio, senza tanti piani regolatori. Ci si arricchiva con l’oro e l’argento degli Indios, mica con le mazzette e le speculazioni delle Cricche su appalti e terreni.
Una rozza urbanistica cittadina, a graticola, contemplava al centro del Pueblo la Plaza de Armas o Mayor, per parate militari, fiestas popolari, esecuzioni. E attorno la chiesa (destinata a divenire Catedral o Basilica), gli edifici del Potere (ovvio il palazzo del Fundador) e le Casonas degli altri Poderosos (ufficiali, titolari di Encomiendas – alias appalti di terra, miniere o altro business con, ça va sans dire, gratuita manodopera ‘india’ – e il principale dei religiosi, Francescani o Domenicani, più intenti a farsi guerra tra loro che a convertire anime). Nel tempo le Ciudades si ingrandivano con Barrios, quartieri sorgenti intorno al Pueblo originale. Quello oggidì noto come Casco Historico o Viejo o Colonial (parola che però, da qualche decennio, in alcuni Paesi del sud America non piace ai revisionisti).
Le zone chic della città
Non sfuggendo alle vicende storico-urbanistiche di cui sopra, anche Lima vanta un Casco (Distrito) Historico. Ma anche quartieri più o meno moderni e più o meno poveri o ricchi (come si conviene a una città divenuta metropoli in poco più di mezzo secolo, dai 500.000 abitanti degli anni ’50 agli attuali, circa, 8 milioni). E datosi che il viaggiatore a volte ne parla ma (peraltro comprensibilmente) si guarda bene dal visitare Favelas e Slums, è il caso di elencare tra i Distritos, quartieri da vedere, quelli più ‘turistici’: San Isidro, Miraflores e Barranco.
I primi due costituiscono la Lima “bene”, ricca, moderna con una American (nel senso di Yanqui-Yankee) Way of Life, vissuta tra grattacieli e protette eleganti villone in stile ispanico coloniale. Più affari & finanza a San Isidro, più residenze ed edonismi a Miraflores: davanti al Marriott vita-vita in un variopinto divertimentificio e centro commerciale con bar e ristoranti terrazzati vista oceano. Sempre sul Pacifico, il bohemien Barranco, primo ‘900, costituisce la Montmartre limeña, di serie una sosta sul romantico Puente de los Suspiros (statua di Chabuca Granda, cantante e poetessa, compose La Flor de la Canela, il più celebre Valse Peruano, un’icona della musica tradizionale del Paese).
Dal porto di Lima, ricchezze verso la Spagna
Anche El Callao (porto, aeroporto, un milione di abitanti) potrebbe essere incluso tra i Distritos di Lima. Costituisce invece una Municipalidad che con il territorio circostante fa Provincia (nientemeno che) Constitucional, anzi ‘regiòn’, forse per l’importanza storica ed economica. Oggi punto di transito di gran parte delle merci in arrivo o partenza dal Perù.
Tra la seconda metà del ‘500 e gli inizi dell’800 dal Callao partirono inaudite ricchezze: oro, argento, opere d’arte, dirette in Spagna (galeoni a Panamà, indi trasporto via terra eppoi di nuovo nave fino a Cadice: pirati, corsari, bucanieri e uragani permettendo). Chicca storica, nel 1826 la partenza della guarnigione della Fortaleza del Real Felipe pose fine a tre secoli di Conquistadores nel sud America (n.b.:40 anni dopo una flotta spagnola ci ripensò ma venne respinta; miglior sorte toccò, nel 1882, alla Armada del non amatissimo Cile).
Callao, tra le nebbie del Pacifico
La conoscenza del Callao vale 20 minuti d’auto da Lima (ah, i taxi si contrattano prima della corsa, vicenda forse discutibile ma evitante fregature finali con rischio di girare 10 volte una Cuadra-isolato). Fatti due passi all’interno della ben restaurata settecentesca Fortaleza e proseguito per La Punta, si sosta su una spiaggia tanto ciottolosa (da cui il nome Callao) quanto poco balneare. Soprattutto “d’inverno” (si fa per dire, qui il paltò non esce mai dall’armadio) da marzo a novembre l’acqua dell’oceano non attira. E non per la freschina corrente di Humboldt (arriva dall’Antartide) bensì per un cielo sempre bigio quando non peggiorato da una robusta foschia (in compenso non piove quasi mai, salvo capricci del Niño). E a La Punta, eleganti alcune case d’epoca di ‘sciur’ che hanno preferito la tranquillità e riposanti visioni marine (due isole decorano il panorama) al logorio della vita moderna di Miraflores.
Dalla fine degli anni Novanta, ‘maquillage’ alla Capitale
Ma mi affretto a tornare a Lima, voglioso di riappacificarmi con la città, rea di non avermi entusiasmato in una precedente, lontana visita. E non avevo tutti i torti: da Yuly e Raul, dotti amici limeños, sono infatti informato che per decenni la loro città fu amministrata assai male (e ci credo, con tutti i problemi che sconvolsero il Perù, in primis quei fanatici del Sendero Luminoso eppoi quel poco onesto ‘presi’ Fujimori, adesso galeotto).
Non v’erano pertanto chances, tempo, voglia, soldi per restaurare monumenti, chiese, palazzi. Fin quando, negli scorsi anni ’90, un bravo sindaco di nome Castañeda decise di rendere Lima nuovamente bella. E l’estetica cittadina merita davvero molte attenzioni. Oltre alla ovvia presenza dello stile ispanico-Criollo, la città può infatti vantare (come altri Paesi del sud America che conobbero la ricchezza nei primi del ‘900, vedi ‘Baires’ e Montevideo) molti validi esempi di architettura francese, Art Nouveau, Liberty-Floreale, Modernista (nel pedonale Jiròn de la Uniòn l’edificio di una Empresa Fotografica fondata nel 1865 da un probabile ex Monsieur Courret, mi ha fatto impazzire per la tenera bellezza).
Nella ‘Ciudad de los Reyes’: pisco-sour, ceviche e toros
E’ ovviamente il Casco-Distrito Historico (Patrimonio dell’Umanità dal 1998) a occupare il viaggiatore. Che comincia a girare Lima partendo dalla Plaza Mayor laddove il 18/1/1535 Francisco Pizarro fondò la Ciudad de los Reyes (n.b. quanti nomi di “città spagnole” in America sono stati fortunatamente raccorciati nel tempo: oggi non basterebbe una pagina per scrivere l’intero appellativo appioppato alla neonata californiana Los Angeles). Tante le chiese, i palazzi, i monumenti da ammirare (info in internet però celate tra offerte di voli e notti ‘loucost’).
Poco suggerite sono invece le soste nei locali (alcuni sul citato Jiròn) in cui cocktelizzano il Pisco Sour (limòn e un’acquavite che si fa con l’uva, quindi in Perù c’è pure il vino, e non male) e nei ristoranti (paciata ok al ‘Cavenecia’ al Barranco) ammannenti il popolare e già lodato Ceviche (ma si gusti anche altro, perché la cucina peruana va davvero ‘a lo grande’). Se poi il turista, a imitazione dello scrivente, è (pure!) aficionado taurino, vorrà recarsi alla Plaza de Toros de Acho, la più vecchia del sud America, 1766 (tanti ricordi di Belmonte e Manolete, emozioni per chi soffre questa ispanica pasiòn. Amministrata. Olè).
Info: www.peru.travel