Il nostro viaggio lungo la Carretera de la Muerte in Bolivia, cento chilometri di strada da brivido. Certi si può girare il mondo (gratuitamente, senza spesa né rischi) anche dalla poltrona del nostro salotto scorrendo un atlante o un mappamondo. Lo studio della geografia diverte per le amenità e le curiosità che fanno capolino. Spostando il dito sulla carta geografica si leggono tanti strani nomi di località, tali da produrre differenti sensazioni, che spaziano dalla curiosità (esempio: il “Suspiro del Moro”, una collina poco distante da Granada; perché mai sospirava il re musulmano?) allo scoramento (la “Deception Island”, l’isola della delusione, nell’Antartide; perché mai si disperava chi vi approdava?) al concetto di ricchezza (il “Corno d’Oro”, sul Bosforo, Turchia; beato chi riusciva ad arrivarvi). Ne consegue che, se si parla di viaggi, per intrigare e inquietare non occorrono tanti scritti o parole, basta l’appellativo di un posto. Che se poi ha a che fare con la Morte (“Death Valley” in California, la “Costa da Morte” in Galizia, Spagna) più che incuriosire, terrorizza.
Costruita dai prigionieri Paraguayos
È il caso della “Carretera de la Muerte” laddove si fa riferimento, in Bolivia, a cento chilometri di strada mozzafiato, da La Paz a Coroico, nella regione de Las Yungas (parola Inca designante “Terre Calde”, termine azzeccato viste le temperature della pianura tropicale). Si tratta di una delle poche vie di collegamento tra l’Amazzonia boliviana e la capitale incastonata nelle Ande orientali, ma non si preoccupino i pantofolai progettanti tranquilli “fly&drive” in Bolivia: dal 2000, in alternativa alla chiacchierata “Via de la Muerte”, un’altra strada accoglie il normale traffico automobilistico (ma non i camion e gli autobus).
Una Carretera garantente soltanto pericolo allo stato puro potrebbe almeno vantare qualche benemerenza, ad esempio un glorioso passato storico (da queste parti tutto ciò che conta non può che risalire al pre-colombiano impero Inca). Invece no, la sua costruzione risale soltanto a metà degli anni Trenta, ad opera dei prigionieri Paraguayos catturati durante la guerra del Chaco (una bizzarra non meno che tragica vicenda perché combattuta tra i due Paesi sudamericani – e regolarmente persa dalla Bolivia – ma voluta e decisa da due potenti Compagnie petrolifere mondiali del tempo).
La strada più pericolosa della Terra
Per poter vantare appellativi e qualifiche, occorrono però attestati e pubbliche benemerenze. Che la Carretera de la Muert e può esibire senza problemi. Nel 1995 la Inter American Development Bank (alias Banco Americano de Desarrollo) concesse a questa via di comunicazione il titolo di “The World’s Most Dangerous Road”, la strada più pericolosa del mondo (ma per la gente locale, fosse solo per non vivere nell’angoscia e tenere lontana la sfiga, così funesto tracciato è più serenamente noto come la Carretera de las Yungas). Record e primati, però, si ottengono mediante risultati, statistiche, dati. Che gli storici della Strada della Morte forniscono senza problemi. Da un paio di lustri la media annuale degli incidenti ha raggiunto il confortevole numero di 209, da cui ben 96 decessi, con un record parziale registrato il 24 luglio del 1983 (un autobus precipitò in un canyon, più di 100 i morti, peggior incidente stradale in Bolivia).
Si viaggia tra burroni, nevi perpetue sulle cime sovrastanti, precipizi, boschi subtropicali a fondovalle, frequenti nebbie, fango, greggi di lama, vertiginosi strapiombi, paesaggi sinistri non meno che magici (spettacolari le cascate di San Juan). Ecco il campionario che madre natura presenta lungo un itinerario ben definito. In un’ora si sale dai 3.600 metri di La Paz al niente (vegetazione inesistente) del “Passo de La Cumbre” (4.700 metri, intorno tanti picchi ben oltre i 5.000, nutrito traffico di auto e camion).
Da quel punto comincia una inquietante discesa, la vera e propria Carretera de la Muerte, in alcuni punti non più larga di quattro metri (di “guard rail” nemmeno parlarne) generose le cadute di pietre, frequenti i tunnel totalmente bui, 64 chilometri giù giù, che conducono ai 1.200 metri di Yolosa (tra pappagallini e papaye, una locanda subtropicale offre ristoro e doccia all’infangato e maleodorante viaggiatore). Da Yolosa si risale ai 1.500 di Coroico, nelle “Valles subtropicales de Los Yungas”, in un continuo infilarsi e togliersi indumenti (si parte da innevate altitudini, tra nevi eterne, bardati con vari strati di abbigliamento, per giungere nella piena Amazzonia, sudando nella sola maglietta).
Guida a sinistra, come nelle British Islands
E chi guida in situazioni di estremo pericolo, non solo si ritrova ad affrontare alcuni problemi tecnici (il motore fatica a bruciare benzina, a quelle altitudini l’ossigeno scarseggia, i freni si scaldano) ma deve pure affrontare un regolamento di viabilità estremamente curioso. Mentre nel resto della Bolivia si guida normalmente a destra, la Carretera de la Muerte si trasforma in una strada britannica o australiana e impone la guida a sinistra. In tal modo chi scende da La Cumbre vede più facilmente il bordo della strada, o per meglio dire, nei frequenti incroci con altri veicoli possiede una miglior visione del vuoto sottostante, in un punto della Carretera non inferiore agli 800 metri. Chi sale verso i 4.700 metri del passo in direzione di La Paz, inoltre, ha la precedenza sul veicolo in discesa (che pertanto è obbligato a fermarsi).
Bus “micro”; il più usato dai boliviani
Per l’avventuroso viaggiatore la Carretera è percorribile in due modi. In “colectivo” o “micro”, minibus locale; a bordo un micro mondo indescrivibile popolato da “cholas” (le tipiche Indias con bombetta e bambini nelle fasce colorate che si annodano intorno alla schiena) polli, casse e oggetti di vario uso e impiego. D’altro canto non è che siano disponibili tanti modi per arrivare nel bacino amazzonico; non esistono altre strade per giungere in una zona a dir poco meravigliosa (Rurrenabaque e il Parco Naturale del Madi) e fortunatamente poco sfruttata a causa dell’isolamento. E parlare di sicurezza è forse superfluo perché nemmeno il trasferimento con l’aeroplanino che (tra nebbie e altri preoccupanti fenomeni atmosferici) da La Paz trasporta la carne e altri generi alimentari può fornire sufficienti garanzie. Il “micro” è pertanto il miglior vettore, soprattutto perché si viene a contatto (e che contatto, vivo e umano) con la vita quotidiana delle genti locali.
Camion “benedetti” con fiori e alcolici
Altro modo per percorrere la Carretera: la bicicletta; soluzione che tanto piace agli Yankees e a chi ha adrenalina da sciorinare, datosi che anche le bici devono rispettare il senso di marcia, con discese che sovente contemplano terrificanti precipizi poco più in là del proprio naso. Ulteriore, attraente curiosità lungo il percorso, i camion. In Bolivia sono tutti decorati, pieni di amuleti e scritte e prima di iniziare la Carretera (e ogni volta che stanno per intraprendere un viaggio) compiono il rito della “ch’alla”, una sorta di libagione per la “Pacha Mama” (Madre Terra, il fulcro della cultura e religione pre-colombiana) con contestuale lancio “augurale” sulle ruote di bevande alcoliche e petali di fiori.
Tanti i turisti del “brivido”, sulla Carretera
Quanto sopra descritto si riferisce alla percorrenza della Carretera “doc”, quella autentica, perché è disponibile anche una soluzione meno spaventosa e rischiosa, comunque ugualmente difficile. Chi opta per questa alternativa (non meno spartana e faticosa) evita la Carretera e da La Cumbre a Coroico compie un avventuroso trekking nelle Ande dormendo nelle case dei contadini (valli a capire, quasi sempre parlano solo aymara, non conoscendo nemmeno una parola di spagnolo). Il resto del percorso deve comunque essere effettuato in “micro”. Come facilmente deducibile, dalla fine del secolo scorso la Carretera de la Muerte è divenuta per la Bolivia un non insignificante destino turistico (a La Paz sono tante le agenzie viaggi che propongono la stravagante non meno che ardita esperienza). Questa strada andina sfidante il destino costituisce infatti la mecca per il viaggiatore curioso, per chi ama il brivido e gode il rischio, per chi sogna sensazioni forti e di mestiere ha scelto il pericolo. Né mancano coloro che percorrono la Carretera solo per dire di esserci stati, o quelli che (parafrasando Edmund Hillary, rispondente a chi gli chiedeva perché mai aveva scalato l’Everest) vi sono andati soltanto perché “era lì”. Massimo godimento, poi, per i cultori della mountain bike (come accennato, soprattutto giovani statunitensi) impensabilmente numerosi: lungo il percorso si scarica adrenalina pura e alla fine della discesa il “corazòn” galoppa forte forte.