Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Bosnia: Sarajevo mon amour, ma quanta sofferenza

La Bosnia e Sarajevo, la guerra con le sue contraddizioni, i voltafaccia e gli ostacoli superati per costruire la pace. La storia di un militare serbo che ha difeso la città. Nel titolo è racchiuso il fascino di una Sarajevo complessa e stimolante

Sarajevo, il Ponte Latino
Sarajevo, il Ponte Latino

A citare il libro e l’autore (”Sarajevo mon amour” di Jovan Divjak, con prefazione di Paolo Rumiz) in occasione di un incontro con un gruppo di giovani internazionali, è un vecchio signore sorridente, che ha una storia simile. Sui settant’anni, anche lui ex militare, ora è presidente (come Divjak) di un’associazione che aiuta le famiglie che hanno lamentato vittime di guerra, specie bambini e ragazzi, a provvedere all’educazione dei propri figli.
Il nome dell’associazione è “Education builds Bosnia Herzegovina” e ciò che colpisce è come la ricostruzione, in un luogo che ha ancora fresca la memoria di quella che chiamano la terza guerra mondiale e nella quale hanno perso la vita diecimila abitanti di Sarajevo, passi attraverso le borse di studio che permettono ai giovani di andare a scuola o all’università. Un fatto curioso è che ancora oggi la storia viene insegnata a scuola in molte versioni differenti, tante quante sono le etnie e i punti di vista: lo dimostra anche un documentario prodotto da ACIPS, l’Associazione che riunisce gli ex-studenti (alunni) del Centro per gli Studi Interdisciplinari Post-secondari, presso il quale si svolgono ogni anno dei master di studi di genere, democrazia e diritti umani, state management e religioni.

Le anime di Sarajevo

Sarajevo Memorie di guerra: colpi di sparo sulle lapidi al cimitero
Memorie di guerra: colpi di sparo sulle lapidi al cimitero

Sarajevo è una città adagiata sulla memorie di guerra, ancora concrete e visibili: palazzi e hotel sventrati, dei quali sono visibili gli scheletri, oppure, allontanandosi di poco dal centro storico, diverse zone minate o che potrebbero esserlo.
Sarajevo è anche una città in cui il tempo scorre lento e conviene osservare e ascoltare, senza fare troppe domande, come consiglia il mio amico Federico, che da due anni si è trasferito qui. La parola giusta è “polako”, che significa “con calma”.
Città della memoria, ma anche moderna, Sarajevo dispone di due anime: quella locale, che di fatto rappresenta un melting pot di religioni e culture e quella nata dopo la guerra, con la presenza della comunità internazionale e dei numerosi turisti che affollano Ferhadija, la strada dello shopping, acquistando un set di “dzezva” e tazzine coordinate (per il caffè turco) oppure penne e altri souvenir ricavati dai proiettili, esposti nei mille negozietti della città vecchia.

Città di moschee e di fontane

Sarajevo La fontana Sebilj'
La fontana Sebilj’

Circa l’ottanta per cento degli abitanti di Sarajevo è di religione musulmana e anche se le altre religioni sono presenti e rappresentate, inevitabilmente in città spiccano le moschee: una delle più note è Begova dzamija, a Barscarsija, ovvero nel cuore della città ottomana. In questa zona, dove è piacevole passeggiare, gli edifici sono stati costruiti a partire dal 1462 e le strade conservano i nomi degli antichi mestieri.
Le fontane sono poste spesso all’ingresso delle moschee e si dice che l’acqua, freschissima, passi attraverso un circuito diverso da quello che fornisce acqua alle abitazioni; anche in presenza di problemi alla rete idrica, pare infatti che le fontane nei pressi delle moschee continuassero a zampillare. Una delle fontane di Sarajevo, Sebilj’, rappresenta un vero e proprio simbolo della città: a forma di chiosco, è una fontana pubblica ideata da un architetto ceco nel 1891.

Angoli di storia e storie della città

Sarajevo La moschea di Barscarsija
La moschea di Barscarsija

Passeggiare per Sarajevo non dà mai una sensazione di vuoto; le strade non sono anonime, al contrario, ogni angolo è un angolo di storia nel quale vale la pena soffermarsi. Un vero e proprio luogo “storico”, tra le vie Obala Kulina Bana e Zelenih Beretki, è quello in cui nel 1914 si è verificato l’attentato al reggente austro-ungarico Francesco Ferdinando e a sua moglie Sofia, avvenimento usato come pretesto per l’inizio della prima guerra mondiale. Vi è un piccolo museo in fase di ristrutturazione, mentre sul muro sono riportate alcune immagini dell’epoca.
Inoltre c’è una targa di marmo che ricorda l’evento; fino all’inizio della guerra civile esisteva una seconda lastra di ferro, posata a terra, che riproduceva la posizione dei piedi del Principe al momento dello sparo; durante l’assedio, la placca è stata rimossa: non si è voluto consentire a un “serbo” di mettere i propri piedi sul suolo cittadino. Da lì, il centro informazioni turistiche suggerisce di attraversare il fiume attraverso il ponte “latino” (cosiddetto a causa di un antico quartiere cattolico) e di proseguire verso il parco Atmejdan, per ritornare poi verso il fiume e verso la moschea Careva. Si passa accanto alla chiesa di Sant’Antonio e camminando nel quartiere (via Franjevacka) si arriva alla Biblioteca Nazionale, distrutta durante la guerra, nei pressi del ponte Seher Cehajin.

Una casa di “carattere”

Sarajevo Il ristorante Inat Kuca
Sarajevo Il ristorante Inat Kuca

Ed ecco un’altra storia di Sarajevo: quella della Casa del Dispetto (Inat Kuca). Attorno al XIX secolo era stato disposto che venisse abbattuta, per fare posto alla Biblioteca Nazionale (un tempo sede del Municipio di Sarajevo) incendiata poi durante la guerra (nel rogo del 1992 sono andati persi più di due milioni di volumi).
Il proprietario della casa ha preteso (e ottenuto) che la sua abitazione venisse trasferita, pietra su pietra, dall’altro lato del fiume. E così oggi la casa del capriccio sorge sulla sponda opposta del fiume Miljacka e al piano terra ospita un ristorate.
Alle spalle della Casa del Dispetto, in alto, si vedono le vecchie fortezze e le mura della città; si può salire a piedi e godere della vista di tutta Sarajevo, con le sue contraddizioni architettoniche: l’antico e il moderno, i palazzoni della periferia, dove oggi per lo più vivono i cittadini di condizioni economiche precarie e le case vecchie o eleganti del centro.

Il tunnel della speranza e i musei

Sarajevo Il tunnel della speranza
Il tunnel della speranza

Il tunnel della speranza, costruito nel 1992 praticamente sotto l’aeroporto, è stato per i quasi quattro anni d’assedio, l’unico collegamento con l’esterno di cui la città poteva usufruire.
Oggi è visibile una porzione del tunnel e un piccolissimo museo. I miei ricordi risalgono, in questo caso, ad alcuni anni fa, quando ho avuto occasione di visitarlo assieme a un abitante di Sarajevo che non lo aveva mai visto prima.
È stata l’occasione per riflettere, ancora una volta, su quanto sia labile la percezione di chi, la guerra, l’ha solo letta sui giornali o vista, in qualche caso, in televisione, andandone a cercare simboli e luoghi al fine di collegare le informazioni che ha in testa con la realtà di ciò che ne resta.
Oltre al tunnel, Sarajevo ha diversi musei tra i quali il Museo Nazionale, il museo storico della Bosnia Herzegovina e alcune gallerie d’arte con esposizioni temporanee.

Caffè turco e narghilè

Sarajevo Pausa caffè
Pausa caffè

Sarajevo si visita seguendo i ritmi balcanici, fermandosi a prendere un caffè turco e magari a fumare il narghilè in uno dei piccoli accoglienti locali del centro; per esempio alle Male Daire, situato in un fresco cortile alle spalle della moschea di Bascarsija.
Il caffè è un aspetto particolare della cultura bosniaca; in genere la gente si siede ai tavolini e passa le ore chiacchierando in compagnia della propria tazza di caffè, anche se la bevanda ha un significato e un nome diverso a seconda dei momenti della giornata. “Razgalica” è infatti il primo caffè del mattino; “Razgovorusa” si beve in tarda mattinata in compagnia di colleghi o amici, mentre “Sikterusa” è il caffè servito al termine di un incontro, per invitare educatamente gli ospiti ad andarsene.
Amina, una ragazza di Sarajevo che alle volte fa da guida a gruppi di turisti, commenta: “niente a che vedere con il caffè italiano”; e con il relativo “stile”.

Piatti speziati e mercati all’aria aperta

Sarajevo Il “burek”
Il “burek”

A proposito di cibi, chi ama i prodotti da forno freschi potrà deliziarsi con il “burek” (ripieno di carne) e le “pita” agli spinaci (zeljanica); oppure al formaggio (sirnica) alle patate (krompirusa) o alla zucca (tikvenica). Per i vegetariani ha aperto di recente un ristorante in centro, mentre per gli amanti della carne i “cevapi” sono una specialità da non mancare.
I piatti, sovente speziati, godono dell’influenza mista della cucina greco-orientale e di quella dell’Europa centrale. A Sarajevo sono inoltre numerosi i mercati, tra i quali Markale, dove si possono trovare cibi freschi, frutta, verdura e formaggi.

Una “Rakija” al Kino Bosna

Sarajevo Kino Bosna
Kino Bosna

Frequentato da bosniaci e stranieri, è un locale appena fuori dal centro, in via Alipasina (nei pressi dell’omonima moschea di Ali Pasa) e potrebbe assomigliare a un centro sociale ben tenuto o a un circolo Arci. “Kino” significa cinema e infatti si tratta di un ex cinema, che ha interrotto le programmazioni durante l’assedio; alcune granate ne hanno poi gravemente danneggiato la struttura. Il Kino ha rischiato, nel 2000-2001, ben peggio della chiusura: l’area era stata infatti destinata a un nuovo centro commerciale. Anch’esso ha una piccola storia. Un audace professore di scuola secondaria, Gianluca Paciucci, ha messo in piedi, in pochi giorni di lavoro, un piccolo evento a dimostrazione della vitalità del Kino e della possibilità di farne un luogo in cui si produce cultura. L’evento ha avuto successo e l’amministrazione comunale ha deciso di non convertire il locale in centro commerciale.
Oggi il Kino è amministrato, con ampi sorrisi e disponibilità, da Sena, una signora di Sarajevo, che alla sera, quando occorre, si occupa anche delle proiezioni; tuttavia, è più facile scoprire in lei una nonna capace di raccontare storie, piuttosto che una signora che gestisce un locale.
All’interno della sala principale le poltroncine sono state staccate dai supporti e disposte liberamente, come in un caffè, mentre i più svariati oggetti di modernariato compongono l’arredamento. La gestione semplice ma creativa dello spazio, lascia stranito il visitatore che ci entra per la prima volta.
Al lunedì sera i musicisti che suonano le “sevdalinke”, le canzoni tradizionali bosniache, animano la sala, mentre durante la settimana il Kino ospita mostre, performance, eventi proposti da giovani artisti locali; inoltre in Agosto è uno dei luoghi “minori” del famoso Sarajevo Film Festival, che predilige luoghi più istituzionali quali, ad esempio, il Teatro Nazionale.
D’estate, il consiglio è di sedersi ai tavoli esterni ordinando una “rakija” oppure una birra locale.

Grbavica, storie di donne

Sarajevo Uno degli angoli devastati del quartiere Grbavica
Uno degli angoli devastati del quartiere Grbavica

Grbavica è un quartiere di Sarajevo, dove vivono le protagoniste dell’omonimo film (Il segreto di Esma, Grbavica) che ha vinto l’Orso d’Oro al festival di Berlino nel 2006. Il film parla della gioventù bosniaca a quindici anni di distanza dal conflitto.
Ho avuto la fortuna di vederlo proprio nel medesimo quartiere, in quello che oggi è un centro giovanile aperto anche a gruppi informali e sede di piccoli uffici di alcune associazioni locali.
La giovane regista del film ha scelto di raccontare la storia di Esma, una donna stuprata dai soldati serbi e madre di Sara, adolescente convinta e orgogliosa di essere orfana di guerra. Delicato, commovente e non banale, il film passa attraverso le storie di un’intera generazione di donne stuprate durante il conflitto e dei figli e figlie che sono giovani oggi, mostrando l’impatto tragico che una guerra civile ha avuto sulle vita di tante persone.
Sceglie, come “No Man’s Land”, un approccio umano e personalissimo, anche se fortemente simbolico. Del film vorrei solo citare la scena in cui Sara, sull’autobus insieme alle compagne di scuola, canta “Sarajevo, amore mio, voglio raccontarti tutti i miei sogni”.

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