Domenica 22 Dicembre 2024 - Anno XXII

Vanuatu, isole “dell’altro mondo!”

Vanuatu Vanuatu ripresa dall'alto

Isole che più “isolate” non si può, dalla natura ancora intatta, a metà via fra i riti dell’occidente e le “tradizioni” primordiali. Per capirci: astucci penici, melange linguistica e pipistrelli in salmì

Tra il Quattrocento e il Seicento la Chiesa riuscì a impedire un processo di unificazione nella penisola italiana. In questo modo resero un grande servizio agli Stati europei già autonomi e indipendenti. I vantaggi si resero evidenti soprattutto nell’ambito delle scoperte geografiche che costituirono la matrice dei ricchi imperi coloniali. Scoperte a cui parteciparono navigatori liguri e toscani, ma al servizio di navi straniere.

Italiani, popolo di eroi, santi e navigatori…

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Donne in una danza tribale

L’assenza di territori d’oltremare ha impedito agli abitanti del Belpaese di godere vacanze esotiche a casa loro. Un turismo da tintarella nei mari caldi, con ovvi vantaggi economici e logistici. Ciò accadde invece agli inglesi nei Caraibi come in Australia, alle Figi e alle Maldive. E pure ai francesi, dalle Antille al Madagascar, alla Polinesia, e agli spagnoli.

Più di un secolo dopo la scoperta di Colombo, la Corona di Madrid non paga, proseguì l’esplorazione dell’oceano Pacifico. Iniziata nel 1521 con la circumnavigazione della Terra. Esplorazione progettata e iniziata da Magellano. Poi proseguita e portata a termine – dopo l’uccisione di Magellano nelle Filippine – dal basco Elcano con tanto di “reportage” del vicentino Pigafetta.

Nella primavera del 1606 un altro navigatore portoghese sponsorizzato da Madrid, Pedro Fernandez de Quiros, approdò e fondò una colonia su un’isola. Come la battezzo? La chiamò “Terra Australis del Espiritu Santo”, con la tenera certezza di aver messo piede sull’agognato e ignoto continente meridionale, oggidì Australia.

Isole agli antipodi

Vanuatu bambini

Errore, perché si trattava dell’isola più settentrionale di un arcipelago del sud Pacifico, stranamente a forma di “Y”, tra le Figi e la Nuova Caledonia. Fallito il tentativo di dare vita a una Nuova Gerusalemme, l’isola ricadde nel dimenticatoio. Ma conservò il nome, Espiritu Santo (per i viaggiatori incalliti basta “Santo” e ne avanza).

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Nel 1774  James Cook completò l’esplorazione delle isole abbandonate meno due secoli prima dal collega portoghese e le chiamò Nuove Ebridi. Ma anche questo nome era destinato a cambiare.  I centosessantamila abitanti, dopo oltre un secolo optarono per la più casereccia denominazione Vanuatu (Terra Eterna). Abbandonando così l’omonimìa con le fredde e ventose isole della Scozia occidentale. Era il 1980, dopo settantaquattro anni di un “Condominium” anglo-francese (tanto disorganizzato da essere ribattezzato “Pandemonium”) conquistano l’indipendenza.

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Port Vila, capitale dellarcipelago arcipelago di Vanatau

Fatta eccezione per pochi cultori di geografia e altrettanti incalliti viaggiatori, nel nostro Paese le Vanuatu restano un nome misterioso. Può conoscerne l’esistenza qualche ricercatore di paradisi fiscali – non pago degli investimenti nelle solite Antigua e Cayman – ben conscio che nella capitale Port Vila, quindicimila abitanti, non occorre più di tanto per costituire una “Finanziaria” o investire capitali al riparo da occhi indiscreti.

E pure per gli “aficionados” di intriganti vicende giudiziarie, accadute una ventina di anni fa, le Vanuatu potrebbero non costituire una novità: quel lontano arcipelago adagiato sull’immenso oceano Pacifico fu infatti teatro di un “giallo casereccio” culminato in un ergastolo (cui seguì la grazia e contestuale espulsione) comminato a una signora umbra per l’uxoricidio del marito, chiacchierato imprenditore edile toscano operante nell’oceano Pacifico.

Terra bellissima, quella dei “ Ni Vanuatu ”

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Danze-tribali-sull’isola-Melekula

Foschi processi “vudù” e dollari a parte, alle Vanuatu andrebbe invece dedicata maggior attenzione sotto il profilo culturale e del viaggio-scoperta, compito non facilitato dalla scarsa informazione turistica fornita nei Paesi di recente indipendenza. Una carenza che a conti fatti non nuoce, vista la fine fatta da destinazioni prima troppo pubblicizzate e poi invase dai charter “tutto compreso”. Un eccessivo sviluppo turistico distruggerebbe infatti “l’Unspoiled Paradise”, il paradiso incontaminato che secondo il locale Ufficio del Turismo non costituisce soltanto uno slogan pubblicitario adottato per vendere la destinazione, ma esiste veramente. E i “Ni Vanuatu” (così si chiamano gli abitanti dell’ex colonia anglo-francese) non hanno torto: le loro isole sono davvero belle.

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Per averne certezza basta compiere il periplo di Efate (l’isola principale, capitale Port Vila), volare a Tanna, che non offre solo l’escursione emozionante al vulcano Yasur e una visita a un Custom Village, ma propone pure una nuotata insieme al “dugong”, la vacca marina simile alla foca,  prendere un aereo per Santo (e visitare le piantagioni di pepe e vaniglia di un intraprendente milanese), trascorrere una notte in uno spartano resort (nei bungalow lampada a petrolio) della selvaggia Malekula, ricca di tradizioni e folclore nei villaggi delle tribù dei “Big” e “Small Nambas”, misurati secondo le dimensioni dell’astuccio penico.

Cento lingue, per capirsi al volo

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Dalle sommarie descrizioni è facile comprendere che – salvo alcuni ottimi alberghi a Efate – i pernottamenti sulle altre isole delle Vanuatu non vanno oltre un decoroso comfort, niente a che vedere con i sciccosi resorts delle non lontane (si fa per dire, siamo nel Pacifico) Figi e della Grande Barriera Corallina australiana.
Ma oltre alle spiagge, al fascino dei Mari del Sud, al già lodato “Paradiso Incontaminato”, ciò che affascina delle Vanuatu e dei “melanesiani” (dall’antico greco “melòs”, nero, per la carnagione assai più scura rispetto ai polinesiani) è la componente etnologica.

Basterà ricordare la varietà di lingue e dialetti parlati (centoquindici!) cui ha posto rimedio il “bilama” (da “Beche-de-Mer”, cetriolo di mare, molto ricercato nel secolo scorso perché ritenuto afrodisiaco) un curioso cocktail di inglese, francese e le tante lingue assortite.
Ritornato da un’esperienza che lo ha riportato indietro nel tempo, il viaggiatore scoprirà che molti raffinati ristoranti di Efate servono piatti della miglior tradizione gastronomica francese e della “nouvelle cuisine” nonché – per i palati più arditi e raffinati – il prelibato pipistrello in salmì.
Le Vanuatu, vedere per credere. Con la preghiera di lasciarle “unspoiled”.

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