Come abbiamo visto nell’articolo precedente (Future Harvest per i “raccolti” del futuro) il Gruppo rappresenta un “unicum” a livello internazionale per quanto riguarda la specializzazione in agricoltura e nella ricerca, entrambe proiettate verso lo sviluppo sostenibile.
E questo ad esclusivo vantaggio delle economie locali di quei luoghi nei quali, solo grazie al potenziamento delle infrastrutture produttive, si riuscirà ad armonizzare la crescita interna in sinergia con le aspettative del mercato internazionale. Da ciò ne deriva il fatto che la specializzazione agricola e la vocazione prettamente scientifica dei centri Future Harvest vada approfondita al di là della semplice introduzione, per vedere nei dettagli che cosa si “produce ” in tali centri, quali, ad esempio, il Ciat (Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale) di Cali, Colombia, lo Iita (Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale) di Ibadan, Nigeria, l’Icarda (Centro Internazionale di Ricerca Agricola nelle zone aride ) ad Aleppo, Siria, e ancora l’Icrisat, (Istituto di Ricerca sulle Coltivazioni nelle zone tropicali semi-aride).
Affinità apparenti, ma compiti diversi
Innanzitutto notiamo delle affinità che ad una prima impressione possono sembrare ripetizioni: Ciat e Iita si occupano della stessa cosa (agricoltura tropicale), l’Icarda e l’Icrisat hanno a che fare più o meno con lo stesso problema (agricoltura in zone aride e semi-aride). Perché dunque mantenere due Istituti quasi uguali per la stessa area tematica? La risposta è data dalla localizzazione geografica dei Centri e dalle tipologie di coltivazioni delle quali essi si occupano. Il Ciatsi preoccupa di sviluppare l’agricoltura sudamericana, con le sue caratteristiche, tradizioni ed utilizzi, mentre l’Iita affronta quella africana. Ancora: l’Icarda studia soprattutto le zone mediorientali, di tipo desertico, mentre l’Icrisat agisce nelle zone semi aride come la savana, quindi non completamente desertiche.
Cominciamo a conoscere il Ciat, organizzazione no profit che conduce ricerche mirate a ridurre la povertà e a preservare le risorse naturali dei Paesi in via di sviluppo; può contare su oltre quaranta Donatori, fra i quali i Governi Italiano, Canadese, Tedesco, oltre alla Ford Foundation, l’amministrazione USA e la Rockfeller Foundation. La struttura del Ciat è formata da un panel di ricercatori coordinati da un Consiglio di Amministrazione di diciotto persone, reclutate fra università, enti governativi, istituzioni scientifiche e corporazioni private. Vi si trovano fra gli altri il Rettore dell’Università di Colombia, tecnici del polo di ricerca Agropolis in Francia e delegati dell’Unione Europea. I diciotto, che comprendono il Direttore Generale del Ciat, Joachim Voss, dirigono una struttura con oltre cento unità di personale dipendente e collaboratore, che al momento gestisce progetti in sei aree tematiche: Ecologia e Management di Malattie fitopatologiche, Suolo, Ecologia e Sviluppo, Analisi di Informazione Spaziale (satellitare ) in Agricoltura, Analisi Socioeconomica, Innovazione Rurale per l’agro biodiversità e la ricerca genetica.
Genetica, nuova frontiera
Quest’ultimo punto è retaggio di tutti i Centri Future Harvest, accomunati dalla “passione ” per il miglioramento genetico delle piante, argomento questo assai controverso, che verrà trattato in un apposito “articolo trasversale”, per analizzarne i pro e i contro. Pratica che comunque sembra rappresentare un “must” laddove si parla di finanziamenti e di ricerca applicata. Ancora sul Ciat dobbiamo dire che le ricerche si estendono al settore dei modelli computerizzati per prevedere fenomeni di siccità, scarsità alimentare o addirittura carestia. C’è da chiedersi a questo punto come sia possibile prevedere l’andamento dei raccolti in base a un modello interamente “elettronico” ma è proprio così che avviene: gli algoritmi (processi matematico-logici) di cui è fornito Mark Sim Tm del Ciat – l’ultima invenzione tecnologica a disposizione dell’istituzione sudamericana, riescono a prevedere per esempio un calo del 10 % della produzione di Mais, nei prossimi 50 anni, nei paesi latino americani e africani, a causa del riscaldamento planetario (effetto serra). E anche qui il turismo può fare i conti con le realtà locali: minore produzione, uguale a maggiore povertà e quindi accentuato grado di insicurezza sociale e in definitiva minore possibilità di sviluppo turistico.
L’Iita, Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale di Ibadan, Nigeria, è il “collega” africano del Ciat e provvede allo studio comparato delle politiche di approccio agricolo e dello sviluppo di sistemi dinamici di coltivazione intensiva. E’ stato fondato nel 1967 per contribuire ad aumentare le risorse alimentari e agricole nelle zone tropicali umide, divenendo il primo centro africano del Cgiar. Retto da un Consiglio di amministrazione internazionale, comprende un vasto numero di ricercatori provenienti da trenta Paesi e di oltre 1300 unità di supporto con un numero assai elevato di personale, paragonabile a quello di alcune maggiori organizzazioni internazionali. L’Iita conduce ricerche, conservazione del germoplasma, (con questo termine si intende la parte bioattiva delle sementi, di solito conservata a bassissime temperature) e formazione, soprattutto nei campus di lbadan, Nigeria e in Benin, Camerun, Costa d’Avorio e Uganda. L’Iita utilizza un sistema di identificazione di quattro essenziali zone definite “agro-ecologiche”: La savana arida, studiata a Kano, Nigeria; la savana umida, a partire dalla stazione di Onne, Nigeria; la foresta umida (Osservatrio di Yaoundé, Camerun) e la savana d’altopiano, studiata a Namulonge, Uganda. Le qualità alimentari sulle quali si svolge la ricerca sono: la cassava, il mais, il plantain, la banana e la soia. L’Iita da sempre si è dedicato alla formazione di quadri scientifici, in collaborazione con i cosiddetti Nars, National Agricultural Research Institutes , cioè gli Istituti Nazionali di Ricerca dei Paesi nei quali svolge la sua attività, oltre che con Università, Ong (Organizzazioni Non Governative) e il settore privato. Si sta soprattutto cercando di valorizzare le risorse umane, considerate di primaria importanza in particolar modo in Africa, vera chiave di volta del sistema per cercare di raggiungere adeguati livelli di auto-sufficienza e sviluppo.
Agricoltura: i campi d’azione
L’Iita ha adottato a questo proposito un sistema basato su:
1. avanzamento professionale, con l’utilizzo di Visiting Fellows, cioè giovani ricercatori – neo dottorati – che possano acquisire le pratiche e le tecniche della ricerca agricola applicata
2. programma di ricerca specialistica per studenti universitari, attraverso cui i corsisti possono essere impegnati in progetti agricoli da utilizzare nelle loro tesi universitarie
3. corsi a breve termine, per scienziati già formati e desiderosi di aggiornamento. Molti sono gli enti con i quali l’Iita ha stabilito partenariati, ai quali inviano Visiting Scientists, cioè colleghi esperti per progetti di collaborazione.
Fra i partner più noti dell’Iita troviamo l’Istituto di Investigazione Agronomica dell’Angola, il Centre National de la Recherche Scientifique et Technique (Cnrst) del Burkina Faso, l’Institute of Agricultural Research Training (Iar&T), il National Seed Services Nigeriano, l’Institut Togolais de Recherche Agricole (Itra) del Togo.
L’Icrisat (Istituto di Ricerca sulle Coltivazioni nelle zone tropicali semi-aride), è una Organizzazione scientifica che comprende 900 dipendenti e un budget di 22 milioni di dollari l’anno. E’ responsabile delle coltivazioni di miglio, sorgo, arachide e la sua Genebank, o banca dei geni, contiene oltre 113.500 linee di queste coltivazioni. Essere responsabili di un certo numero di coltivazioni fa parte di un regolamento e di una pianificazioni interna al gruppo Cgiar, per programmare e non sovrapporre la ricerca; ciò non toglie che altri istituti possano fare altrettanto, sebbene in forma differente.
Dall’Icarda, la ricerca sulle “acque”
Scopo analogo è quello dell’Icarda, fondato nel 1977 con sede ad Aleppo, Siria, dal Prof. El Betagj, da allora Direttore Generale dell’istituto. Questo “Centro Internazionale di Ricerca Agricola nelle zone Aride”, si propone di trovare comuni soluzioni al problema della mancanza d’acqua in molte parti del globo, “restraint” ( cioè ostacolo, freno) ad uno sviluppo agricolo equilibrato. Laddove c’è scarsità d’acqua, il territorio è più fragile, subisce spessissimo fenomeni di desertificazione, laterizzazione(trasformazione dell’humus in superficie arida ), degradazione della qualità dell’ecosistema e infine maggiore povertà per gli esseri umani. La missione di Icarda incontra queste sfide e le combatte sviluppando tecniche che permettono di attuare, anche in zone aride. delle coltivazioni di tipo esteso, soprattutto privilegiando coltivazioni locali e resistenti e di allevare animali che si sono adattati a questo ambiente arido. Celebre è il programma Icarda per i piccoli ruminanti, tutta una serie di bestiole, a partire dalla semplice capra del deserto, che da secoli accompagnano i pastori siriani, arabi e giordani, lungo le aspre vie del deserto. Oltre a ciò vengono studiate a livello mondiale, la lenticchia, l’orzo, le fave e altre colture resistenti ai climi aridi; si sperimentano inoltre molte tecniche di risparmio e utilizzo corretto dell’acqua, bene fondamentale, specie in queste aree della terra. All’acqua, con le sue risorse e le sue potenzialità, dichiarata dall’Onu elemento di capitale e vitale importanza, verrà intitolato un intero anno tematico, per ampliarne i dibattiti e gli studi in corso e quelli futuri. Quattro Centri, un solo obiettivo: lo sviluppo, inteso come ampliamento sinergico delle possibilità di benessere della gente, della loro ricchezza in prospettiva e del rispetto dell’ecosistema.